Contro il menu degustazione/2 (la vendetta o il ritorno)

Ne ho già scritto, è un tema ricorrente per me, quasi un’ossessione. Ma dibattendo con alcuni amici ristoratori, proprio in questi giorni, e sentendo programmare ristoranti che avranno solo il menu degustazione mi sono sentito male.

Non ne posso più di lunghe sedute a tavola, non ne posso più di interminabili menu di piccoli assaggi, non ne posso più di percorsi interamente pilotati e di non poter mangiare anche qualcosa che piace a me, magari in almeno cinque bocconi. Sempre gli stessi. Non voglio più mangiare cinquanta ingredienti diversi a pasto, sette tecniche di cottura e dieci salse. Non può sempre essere il pranzo di Babette.

Credo in un pasto più breve (un’ora, un’ora e mezza a tavola è un tempo ragionevole), in tre piatti centrati e pochi orpelli. E il menu degustazione una volta ogni tre mesi. Quando si sa che in quel ristorante è davvero difficile tornare in tempi brevi. Questa è la mia professione di fede.

54 pensieri riguardo “Contro il menu degustazione/2 (la vendetta o il ritorno)

  1. credo che la scelta di programmare solo menù degustazione risieda nel controllo dei costi. la ristorazione à la carte, se ben espletata, costa ‘molto’.
    la degustazione, da me intesa come massima espressione della comunicazione gastronomica che uno chef dovrebbe avere nei confronti del cliente, spesso viene percepita da quest ultimo come ‘imposizione’ verso i propri gusti e libertà sulla scelta. eliminare la scelta sarebbe perciò un danno.
    la possibilità di scelta resta l’unica opportunità di rimanere in contatto con il cliente.

  2. condivido !
    mi farebbe piacere conoscere anche il suo pensiero riguardo alla tendenza (in particolare all’estero) di proporre un unico menu degustazione (senza possibilità di scelta a la carte). Lo fanno diversi stellati a Parigi, ma anche a New York.
    della serie: o così o quella è la porta.
    mi lascia un po’ perplesso.
    anche perchè vogliamo mettere la difficoltà per la cucina di tenere in linea ogni giorno tutta la proposta a la carte rispetto alla certezza di cucinare per tutti gli stessi piatti ?

    1. Beh, ho scritto questo post proprio perché questa tendenza non mi piace. Non mi interessa neanche sapere i motivi che ci sono dietro, io voglio poter scegliere.

  3. Caro Bolasco, tu sei un critico e fai più di 200 pranzi/cene in un anno. Un gourmet ne fa generalmente la decima parte, o anche meno. E la ristorazione di livello esiste per i gourmet, non per i critici.
    In questa società capitalistica in cui il “cliente” viene sempre assecondato e coccolato (e preso per i fondelli), certamente non è un male se qualcuno cerca di educare, di spingere il cliente oltre il suo “gusto personale”. Non è un male se qualcuno cerca di non limitarsi a “massaggiare”.
    La storia ci insegna che i “basta con…” sono stati quasi sempre espressioni reazionarie di chi aveva bisogno di rilassarsi. “Basta con la matematica moderna, torniamo ai numeri”, “basta con la musica atonale, torniamo alla consonanza”, “basta con le arti visive d’avanguardia, torniamo a raccontare”. È comprensibile: l’uomo spesso tende a rifuggire dagli sforzi, tende al vizio anziché alla virtù (“basta con lo studio…”). Anche l’uomo colto corre talvolta questo rischio. E quando c’è un’evoluzione in qualche campo, i “pigri” ci sono sempre. Anche tra quelli molto intelligenti e preparati.
    Io penso che un menù degustazione fisso, con qualche variante giornaliera a seconda della disponibilità dei prodotti, e qualche variante personale a seconda delle possibili intolleranze individuali, sia la soluzione che assicura la massima freschezza dei prodotti a parita di prezzo. E questo è un fatto.
    Ed è un fatto anche che un critico la massima freschezza dei prodotti ce l’ha sempre assicurata (nei posti che hanno un minimo di ambizione), anche se ci sono venti scelte alla carta per l’antipasto, venti per il primo e venti per il secondo…

    Giovanni

    1. Io non faccio più 200 pranzi l’anno (per fortuna). E in quelli (che sono più o meno quelli di un gourmet serio) che faccio non voglio dover essere pilotato. Non sempre.

      Non voglio fare sforzi, non voglio essere educato, non credo che sia questo il compito della buona (e alta cucina) e non condivido questa sua visione. Sul fatto poi che il menù sia il modo per avere prodotti freschi si potrebbe parlare. Spesso è proprio un modo per rifilare ciò che c’è. È sufficiente avere una scelta alla carta limitata o menù che non siano “degustazione”.

      Per quanto concerne il “basta con” il mio non è un proclama e i blog esistono proprio per questo. Anche per andare un po’ sopra le righe. Siamo in un blog…

      1. Una scelta alla carta limitata, e menù che non siano “degustazione”, indubbiamente aiutano, ma resta il fatto che se comperi sei chili (o quanti te ne servono, a seconda delle prenotazioni) di scampi e hai un degustazione obbligatorio, sei sicuro di finirli entro diciotto ore. Se invece gli scampi sono presenti in alcuni piatti alla carta, che i clienti possono scegliere come non scegliere, devi affidarti alla statistica. Basta fare due conti, per capire che o succede che in molti pranzi/cene è alta la probabilità che un cliente ordini scampi e gli scampi siano finiti (cosa che a me non è mai capitata), oppure gli scampi devono essere conservati per una settantina di ore in alcuni casi. Certo, la brigata di cucina può mangiare questo o quello in funzione di cosa ordinano i clienti, ma è facile rendersi conto che anche così i costi non sono ottimizzati. Anche con poche scelte alla carta e menù che non siano “degustazione”, a parità di prezzo finale la freschezza di prodotti come gli scampi non sarà mai paragonabile a quella che si può avere con un menù unico obbligatorio. È un fatto logico, basta farsi uno schemino e fare due ragionamenti.

        Giovanni

  4. Sono d’accordo con Marco. I menu degustazione spesso diventano una fatica più che un piacere.
    La gestione dei costi o della freschezza delle materie prime non può trasformarsi in un vincolo per il cliente.

    1. Il punto è che il cliente che non vuole sentire ragioni viene fatto “fesso e contento”. Vuoi scegliere? E allora il ristoratore ti sorride, ti fa contento e ti dà scampi che hanno 48 ore. Tanto nemmeno te ne accorgi.
      E se invece sei uno che se ne accorge, il ristoratore se ne rende conto e ti dà quelli migliori. Se ti chiami Bolasco, o Vizzari, o Bonilli questo è scontato.
      Invece di parlare di menù degustazione, parliamo di catena del freddo. Perché nessuno dice “basta con la catena del freddo”? Perché nessuno dice basta ai compromessi nella conservazione degli alimenti? Perché nessuno dice basta a tecniche di conservazione che danno un risultato finale sì ottimo (in genere), ma non il migliore possibile in assoluto?

      Giovanni

      1. perchè o sei in 15 in cucina e puoi preparare tutto fresco ogni giorno (incluso il fatto di avere il tuo pescatore di fiducia che attracca davanti al ristorante) oppure ciao ciao amico mio!
        Ti dirò di più: un paio d’anni fa ho avuto la fortuna di lavorare un po’ di tempo in uno dei primi 10-15 ristoranti in Italia (stando alle guide e nn solo!) e ti assicuro che gamberi rossi e scampi venivano congelati normalmente (senza abbattitore) e scongelati al momento del bisogno! ma a quanto pare se la materia prima è di ottima qualità anche congelata dopo 4-5 giorni rimane sempre buona uguale! non facciamoci troppe pare mentali su cose che 1 su 1000 forse noterebbe!

      2. andrea,
        tu dici: “o sei in 15…”.
        Beh, io dico: un menù degustazione _unico_ ti permette di ottimizzare lavoro e prodotti e quindi di avvicinarti maggiormente – a parità di persone in cucina e di tutto il resto – a un ideale di freschezza e qualità.
        Una scelta di qualità, quindi. Una scelta che migliora la situazione sia che ci siano due, otto o quaranta persone in cucina.
        Una scelta da incoraggiare, non da scoraggiare.
        E se il prezzo da pagare è il venir meno della scelta di un cliente che vuole sedersi e farsi portare quello che vuole lui, da bravo cliente-che-ha-sempre-ragione tipico di un sistema capitalistico, beh, a mio avviso il gioco stravale la candela.

        Giovanni

      3. Quanto agli scampi, ti assicuro che se non li congeli e li consumi quanto prima possibile, sono un’altra cosa! Ma davvero un’altra cosa!
        Sai dove ho trovato la materia prima (specie ittica) migliore e più fresca? Al Bulli. Il ristorante forse più attaccato dai crociati della “materia prima contro la chimica”.
        Meditate, gente, meditate…

        Giovanni

      4. Proprio dell’ultima volta al Bulli ricordo dei fantastici gamberetti cotti al vapore di tè Earl Grey. I miei commensali – gourmet e critici gastronomici – sono rimasti tutti sbalorditi dall’eccezionalità della materia prima, come se non avessero mai mangiato gamberetti appena pescati in vita loro.
        È indiscutibile che il pesce appena pescato abbia una marcia in più. Che poi molti si accontentito, è un altro discorso…

        Giovanni

      5. gli scampi che mangi sono al 99 , 99% abbattuti quindi il problema non sussiste.stano che uno attento come lei non conosca come è organizzata una cucina

  5. Credo che se un cuoco è onesto, non fa fesso nessuno. Se un cuoco è un furbacchione, fa fesso chi vuole, degustazione o alla carta. Se un cliente è sveglio e avveduto di gastronomia, può accorgersi di ciò che non va, sia in degustazione che alla carta. Se un cliente è ignaro, non si accorge di nulla.
    Credo che l’etica della cucina non abbia a che fare con la questione del menu degustazione posta da Marco. Mi pare che la questione, invece, rimandi a un’etica dell’esperienza gastronomica: perché sempre i “percorsi guidati”? perché sempre i “concept menu”? Non è meglio, a volte, approcciarsi al gastronomico in modo più sciolto e casuale? Queste domande sono rivolte tanto ai fruitori che ai cuochi, in questo caso, e sono un modo di riflettere su certi eccessi dell’idea (peraltro giustissima e meritoria) della gastronomia come cultura; eccessi che finiscono, in certi casi, per voler trasformare un’esperienza bella e piacevole in una lezione enciclopedica, un sunto bignamesco che intende richiedere sforzi e concentrazione massima. Non sempre se ne ha voglia, non sempre se ne ha bisogno.

    1. Il cliente sveglio e avveduto si accorge di ciò che non va, sicuramente.
      Ma uno scampo che ha due giorni non è che non vada. È buono lo stesso. Semplicemente non è il massimo del massimo.
      Se, col degustazione unico, si può avere più spesso il massimo, o comunque di meglio, perché rinunciarvi in favore della possibilità di scegliere?

      Giovanni

      1. lo scampo che mangi nei ristoranti da lei frequentati non avrà mai 2 giorni……

  6. Caro Giovanni,
    naturalmente é il mio pensiero ma solo immaginare che uno chef debba scegliere la dagustazione per ‘educare’ i propri clienti mi fa ricrescere i capelli.
    per quanto famoso, importante, bravo e internazionale sia uno chef deve sempre e solo realzionarsi con i suoi clienti.
    la degustazione nasce come un percorso gastronomico che può essere scelto dal cliente ma non un obbligo per ‘altri motivi’
    poi la gestione di un ristorante é un complemento manageriale. mica é facile lavorare ‘à la carte’ ed é proprio per questo motivo che non tutti gli chef bravi a cucinare riescono a mantenere un ristorante aperto.
    rispetto il tuo punto di vista ma per quanto valida sia la motivazione di un professionista non riesco proprio a condividerla.

    1. Mi dispiace, ma non mi piace pensare alla cucina di livello come a un servizio. Ritengo che invece sia espressione.
      Lo chef deve esprimersi, non deve servirmi.

      Giovanni

      1. esprimersi? mi pare che i fatti, purtroppo, oggi confermano il contrario. tutti gli chef che cercano di esprimersi sono puntualmente attaccati, criticati e ‘bocciati’. e considera che io considero ‘arte pura’ la gastronomia, quantomeno nella fase di ideazione di un piatto. l’idea di espressione é condivisa. il cliente deve essere ‘accompagnato’, servito bene, ed educato nel tempo. interagire con lui con una ‘semplice imposizione di espressione gastronomica’ si allontana dal suo desiderio che lo spinge a frequentare un ristorante.opinione naturalmente

    2. > mica é facile lavorare ‘à la carte’ ed é proprio per questo motivo che non tutti gli chef bravi a cucinare riescono a mantenere un ristorante aperto.

      Già, il Maître, questo sconosciuto…

  7. …io però non generalizzerei sui metodi di conservazione, Giovanni… credimi, come in tutti i campi ci sono i professionisti ed i… Professionisti. Ti vorrei invitare a provare prodotti quali appunto gli scampi che hai menzionato, dopo averli “abbattuti”. E’ chiaro che il Professionista li abbatte ancora vivi… ed il professionista invece tende ad abbatterli quando hanno già qualche ORA sul gobbo… Questa è o potrebbe essere una delle tante differenze. Believe me. Poi comunque rimane sempre il fattore “sorpresa”, sbaglio la cottura, o chissà quale diavoleria… può capitare a chiunque di sbagliare, purchè sempre in buona fede.
    Massimo

    1. Ovviamente gli scampi vanno “abbattuti” vivi, ci mancherebbe.
      Ma prova a mangiare, semplicemente cotti al vapore, scampi che erano stati “abbattuti” vivi e conservati e scampi che erano vivi cinque minuti prima di essere cotti al vapore. Ti invito io a fare la prova. Prova e sappimi dire. Sono davvero uguali uguali uguali che se ne hai uno a fianco all’altro non noti la minima differenza? Rispondi onestamente.

      Giovanni

  8. La formula migliore, che media le esigenze di tutti, e che ancora purtroppo pochi propongono è il carta-menù.
    Barbaglini alla Casolette in val d’Aosta, ristorante di albergo di lusso con ambizioni, propone la scelta da 3 a 8 piatti alla carta con un prezzo compreso tra i 40 e i 90 Euro. Sei libero di comporre il degustazione come meglio credi, scegliendo tra i piatti alla carta. Una scelta certo non ampia, tra una 15ina abbondante di proposte. Credo però che questo sia un buon compromesso tra efficienza e servizio al cliente.

    1. Alberto,
      anche in questo modo devi comunque affidarti alla statistica e conservare i prodotti (anche ittici) per due o tre giorni, specie in settimana.
      Non si scappa.

      Giovanni

  9. quoto con Bolasco e Massisol (a proposito ciao, come va in quel di Ternate?).
    La mia esperienza piu’ infelice da impenitente dilettante gourmet fu un paio di anni fa in uno stellato a La Thuile (posso dirlo intanto non c’è piu’..), dove oltre ad esserci un solo menu’ guidato senza possibilita’ di cambiare alcunch’è, c’erano pure i calici di vino in abbinamento.. non ho potuto scegliere neanche quello!! Spendendo 120,00 euro esigo la possibilita’ di SCEGLIERE e, pecchero’ di presunzione, a tavola non ho bisogno di farmi educare da nessuno.

    Sulla conservazione non sarei così prevenuto come Giovanni,
    la tecnologia aiuta i ristoratori senza compromettere freschezza del prodotto.. basta usarla con giudizio.

    1. Io voglio scegliere se cerco un servizio.
      Se vado da uno chef, non voglio essere servito, ma voglio che lui si esprima, che mi comunichi qualcosa. Non quello che io voglio: quello che *lui* vuole (comunicare).
      Quanto alla tecnologia, io preferisco che si usi per fare cose nuove, e non per fare, peggio, quelle vecchie.

      Giovanni

  10. Beh Giovanni, la prova per verificare se uno scampo ha mantenuto inalterato il suo “aspetto” organolettico dopo l’abbattimento è proprio la cottura a vapore…, per qualche secondo, e senza condimento alcuno; credo di rispondere onestamente dicendoti che il prodotto rimane davvero naturale. Cmq non dare per scontato che lo scampo venga sempre abbattuto vivo… non è così naturale, anzi… :)
    Buona domenica e… mi ha fatto piacere questo confronto.

  11. Sì, certo, se fai le cose come si deve lo scampo rimane davvero naturale, ci mancherebbe. Io non ho mai detto che non resti naturale. Ho detto, invece, che non è _uguale_ a quello che era vivo cinque minuti prima di essere cotto al vapore. Quest’ultimo tende ad essere più “esuberante”, meno “moscio”. È un po’ la differenza che c’è tra un tartufo che ha un giorno e uno che ha sei giorni.
    Ecco, anche il tartufo può essere un ottimo esempio: se un ristoratore sa esattamente quanto ne userà ogni giorno, potrà dare a tutti un tartufo più fresco. E invece purtroppo a me è capitato, in ristoranti stellati, veder servire al tavolo a fianco un tartufo quasi andato a male, e poi subito dopo, a me, quello appena arrivato, eccellente. Ripeto: un degustazione obbligatorio è un modo per offrire la stessa freschezza della materia prima a tutti i clienti. O anche il tartufo è uguale dopo una settimana? :P

    Giovanni

  12. Concordo pienamente con l’osservazione di Cauzzi, l’idea di comporsi una degustazione scegliendo da una carta anche non chilometrica, la ritengo un po’ la quadratura del cerchio, anche perchè credo che chiunque abbia ordinato un menu’ degustazione proposto sopratutto con molte portate si vede arrivare piatti che mai avrebbe ordinato alla carta…
    Concludo con 2 considerazioni:
    1) In alcuni casi la scelta della proposta degustazione anche in presenza di una ampia scelta alla carta mi sembra preferibile considerando anche che quasi la totalità degli chef sono dispostissimi a qualche variazione/inserimento nei loro percorsi.
    2) La variabile costi, trascurabile in qualche ristorante assolutamente fondamentale in altri (provate a mangiare alla carta da Vissani o Pinchiorri !!)

  13. Bella idea potersi comporre un menu degustazione da 3 a 8 portate ! Ma queste portate sono “ridotte” di quantità rispetto alla carta? Qualcuno ha provato?

  14. Comunque, faccio notare che la legislazione vigente OBBLIGA a dichiarare in menù i prodotti congelati o surgelati.
    Quanti rispettano questo obbligo?

    Giovanni

  15. touché! Pochi… perchè comunque l’utente (in generale) non è pronto a sentir parlare di abbattitori di temperatura… veniamo spesso additati come dei truffaldini propositori di alimenti congelati… SOB… al pari di quelli (colleghi) che propinano la frittura di paranza (spesso la troviamo sulle spiagge in Liguria), per non parlare dei “maestri” per le mega grigliatone miste, quelle che si vendono per intenderci a 15 euriiiiiii.
    Come vedi Giovanni, potremmo portare avanti questa crociata che tanto l’utente finale, spesso si fa una idea tutta sua.
    Buon Natale, Massimo Sola

  16. Certamente c’è molta ignoranza, e il qualunquismo fa leva proprio su questo.
    Ma non è un buon rimedio non dire la verità solo perché la gente mediamente non è pronta per recepirla. La verità bisogna dirla, spiegarla. Solo così la gente diventerà pronta.
    La gente capirà, specie se a parlare saranno grandi chef, persone il cui lavoro è indubitabilmente votato alla qualità senza se e senza ma.
    Ma resta falso che uno scampo abbattuto è uguale a uno scampo appena pescato. Questo non è vero. La verità è che uno scampo appena pescato ha qualcosa in più, che chiunque abbia assaggiato entrambi (quello abbattuto e quello appena pescato) può riconoscere.
    I gamberetti al vapore di Earl Gray di Ferran Adrià, se abbattuti non sono più gli stessi. Si perderebbe proprio il senso di quel piatto. Perché – per poter scegliere – devo rinunciare a piatti così?
    Io preferisco che lo chef componga lui, per ogni cliente, un menù obbligatorio, se questo gli permette di scegliere quei piatti del suo repertorio realizzabili con gli ingredienti top del giorno.
    Altrimenti, piatti come i gamberetti all’Earl Grey di Adrià, con quella forza esplosiva, puoi sì farli, ma non per tutti i clienti: solo per il critico di turno.
    Certo, per un crudo di pesce consiglierei l’uso dell’abbattitore (ma non è detto!), ma per una cottora a vapore è decisamente preferibile il pesce non abbattuto e appena pescato.
    Basta con la possibilità di scelta, sì alla qualità senza se e senza ma!
    Faccio notare, inoltre, che mentre i locali con possibilità di scelta sono tanti, quelli con degustazione fisso, e conseguente differente strategia di conservazione dei prodotti, sono ahimé pochissimi! Quindi, mi chiedo, perché lamentarsi di questi ultimi, quando purtroppo questi ultimi sono già men che pochissimi? I locali dove si possono scegliere tre piatti alla carta sono il 99,9 percento anche tra i top, quindi… perché sparare sulla croce rossa costituita dal restante 0,1 percento?

    Giovanni

    1. Forse però le è sfuggito che questo non era un’intervento destinato in modo particolare alla messa in discussione del menù “fisso” ma piuttosto a quella dell’interminabile sequenza di piccoli assaggi chiamata comunemente menù degustazione. Che in quanto tale è sempre stata l’eccezione e non la norma. E che (purtroppo, per me) sta diventando la proposta (unica) sempre più diffusa.

      Ad ogni modo -se dovessi scommettere i miei soldi- non scommetterei che durerà. Immagino un futuro di grande cucina d’autore, di grandi materie prime, poco tempo passato a tavola ma in modo sempre più mirato. È anche l’unico modo per pensare ad un mercato che tenga, visto che l’offerta si è moltiplicata.

      1. D’accordo, ma allora: menù unico di poche portate, composto dallo chef tenendo conto di eventuali intolleranze. Oppure: scelta – da comunicarsi all’atto della prenotazione – fra un menù con poche portate e uno con molte portate.

        Giovanni

  17. Quello che tu dici è molto vero, oggi un pasto non può essere composto da più di tre/quattro portate. E in effetti è sempre stato così in Italia sino agli anni ’90.
    Gli chef che capiranno questa cosa così semplice voleranno perché il futuro è meno tempo, meno soldi, meno cibo.
    Quanto a quello che succede ai critici è diverso: agli chef fa piacere far provare i loro piatti. Se potessero porterebero tutto il menu.
    In realtà, anche in questo caso, ne basterebbero un paio.
    Però rassegnati: non potrai mai fare un pranzo come vuoi tu se non a casa tua. E’ l’altra faccia della medaglia di questo lavoro.

    1. Caro Luciano Pignataro,
      il futuro è “meno tempo, meno soldi, meno cibo”?
      Dipende.
      Uno non organizza un viaggio apposta in un posto con poche attrattive turistiche per passare poco tempo al ristorante.
      Viceversa, se uno si trova a Napoli, a Roma, ecc., allora può trovare utile fare un pasto di qualità in tre quarti d’ora.
      Ma il grande ristorante resta il posto dove andare a fare “l’esperienza” del mese. Come quella di assistere in un teatro lirico alla rappresentazione di un’opera di Wagner.
      Se uno fa il viaggio apposta per andare in un ristorante che si trova in una zona industriale dove nel raggio di due ore di macchina non c’è niente di interessante, beh, allora _vuole_ passare molte ore, anche quattro o cinque, al ristorante.
      O no?

      Giovanni

  18. @Giovanni
    Quello che tu dici è in parte vero, sicuramente nel quotidiano è ormai scontato che sia così. Ma non è di questo che si discute.
    Io non ho parlato di poco, ma di meno. Meno rispetto a dieci, vent’anni fa. Anche quando si fanno esperienze gourmet, o si gira, c’è da un lato meno tempo a disposizione (pensionati e rentier a parte), dall’altro c’è voglia di menù meno pesanti e c’è meno propensione a spendere visto i tempi. Poi, come tutto, ogni moda o tendenza ha la sua eccezione. Ma mi pare si stia andando decisamente in questa direzione.

    1. Caro Luciano Pignataro,
      a mio avviso nella ristorazione di livello si delineeranno due tendenze: da una parte buoni e ottimi ristoranti che seguiranno la formula “meno tempo, meno soldi, meno cibo”; dall’altra le “star” di caratura mondiale – una cinquantina in tutto il mondo – con prenotazioni difficili da ottenersi e una buona percentuale della clientela proveniente da lontano. Posti, questi ultimi, da un pranzo all’anno, con clienti desiderosi dell’esperienza “lunga”.
      Negli ultimi tre mesi sono stato in tre ristoranti che avevano il degustazione unico obbligatorio: l’Alinea di Chicago, il Tetsuya’s di Sydney e ovviamente il Bulli. Forse solo al Bulli il degustazione obbligatorio aveva davvero ragion d’essere. Gli altri due, pur molto buoni, non meritavano le numerosissime ore d’aereo necessarie per raggiungerli. Eppure sono ristoranti sempre pieni. Sempre. Il pubblico non manca, e la domanda sarà sempre molto maggiore dell’offerta per posti così (e questo è un buon presupposto affinché aumentino di numero).
      Prevedo quindi che si evidenzierà sempre maggiormente la linea di demarcazione fra i ristoranti, anche italiani, che ambiscono/ambiranno a figurare nel circuito dei (veri o presunti) “world’s top 50”, e gli “altri”. Nei primi, menù degustazione unici sempre più lunghi; nei secondi (anche eccellenti, magari bistellati), “meno tempo, meno soldi, meno cibo”.
      Se si mira a figurare tra quelli del primo tipo (e in Italia ce ne sono almeno sei o sette che potrebbero), allora il degustazione lungo obbligatorio ci vuole.

      Giovanni

  19. Se posso dire la mia, come dare torto al sig. Giovanni sulla questione materia prima, ma da interno (ristoratore) posso dire, che qualsiasi mio collega il giorno che ha la coda fuori (o mesi di prenotazione), scusate la venalità, penso che obligherebbe i propri clienti a spendere almeno una “x” cifra, e quale miglior modo se non obbligando il commensale in un tour gastronomico?
    @Giovanni: ci potresti dire, quali, secondo te, ristoranti italiani sono meritevoli di entrare nei top 50?

    1. Bottura, probabilmente. Che infatti già è tredicesimo nella classifica San Pellegrino (classifica che condivido solo in alcune parti).

      Giovanni

  20. Ciao Marco, buon anno.
    Per accodarmi alle tue osservazioni sui menu degustazione, io nel mio cahier de doléance inserisco l’onnipresenza di tonno e foie gras nei ristoranti di tutto il mondo. Secondo me siamo giunti al culmine.

  21. Torno sul discorso della conservazione, ecc.
    Ebbene, per legge chi non ha l’abbattitore deve fare tutto fresco. Non è consentito infatti congelare/surgelare gli alimenti _se non_ con l’abbattitore.
    Eppure ci sono tante trattorie che non hanno l’abbattitore, e, avendo un paio di persone per trenta coperti, difficilmente potranno fare tutto fresco…
    Io dico: va bene la tradizione casalinga e tutto quello che si vuole. Ma questo non significa che non si debba – fin dall’inizio dell’attività e non in corso d’opera – tener presenti tutti i fatti oggettivi scientifici che stanno dietro quello che si fa. Tradizionalisti e non.

    Giovanni

  22. Aggiungo: il pesce, indipendentemente da come viene conservato, per legge è da considerarsi fresco per 24 ore. Oltre le 24 ore, per legge non si parla più di pesce fresco.
    Pertanto, se un ristorante propone pesce fresco, non deve trattarsi di pesce che ha più di 24 ore. Indipendemente dalla metodologia di conservazione.
    Quanti ristoranti che servono pesce fresco ci sono in Italia? Temo pochi! :D

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