No, non si tratta, per una volta, della scoperta di un pezzo di patrimonio gastronomico italiano poco conosciuto: la mia è una critica. Mi è capitato più volte di apprezzare gli straordinari libri di Phaidon ma, proprio perché è Phaidon, pretendo molto e in questo caso rimango male.
Nel libro “Where chefs eat”, tanto atteso, dei ristoranti dove vanno a mangiare i cuochi, l’Italia è una macchietta. La “guida” che avevamo tanto atteso, quella dei “veri esperti” come si autodefinisce, è un collage di pochi indirizzi, quasi tutti già conosciuti. E nemmeno tutti così interessanti. Fra questi i cuochi (segnalatori) italiani coinvolti sono pochini: Alajmo, Assenza, Baiocco, Bassi, Beck, Berton, Bussetti, Bottura, Cerea, Cedroni, Crippa, Iaccarino, Lamantia, Lopriore, Marchesi, Oldani, Russo, Scarello. Tra le trattorie romane segnalate Da Cesare a via Crescenzio invece di Cesare a via del Casaletto (sic!) e il bar-à-tapas catalano Tres Porquets indicato come “high-end”…
Con venti pagine l’Italia viene (mal) rappresentata, quaranta per la spagna e settanta per la Gran Bretagna. Barcellona ha una capitolo a sé (e se lo merita) come Parigi.
Occasione mancata.
Siamo quasi sempre in sintonia, in questo caso è completa, libro sbagliato.
In effetti Roma non merita un capitolo a sé
Grande Giancarlo! Dovresti dedicare una puntata alla cucina italiana! ;-)
A presto