Umami

Mentre si discetta di cuochi che scrivono ai cuochi del futuro, mi viene in mente -stando molto con i piedi per terra- le visite fatte in Alsazia in una torrida settimana di agosto.

Di tre “importanti” ristoranti quello che mi viene da raccontare con più entusiasmo è il meno importante. Nel senso che è meno blasonato e meno stellato. E’ l’Umami di Strasburgo, ristorantino di pochi coperti e dalla formula efficace e semplificata: solo sei piatti in carta. Due entrate, due portate principali, due dessert. Le formule vanno dal piatto+dessert a 37euro fino all’assaggio di tutti e sei i piatti in piccole portate, a 60euro. Volendo ci sono i vini in abbinamento al calice, dai 7 ai 20euro per il menu più grande. Cucina di mercato, attenzione ai prodotti e alla stagionalità (ma allora non ci pensano solo i cuochi di Lima…) e sapori netti e convincenti.

Risultato? Nei risultati blasonati il cliente medio è uno straniero di 65anni che si compiace dell’esclusività dell’esperienza, da Umami i sei/sette tavoli erano popolati da giovani e giovanissimi che scherzavano, prendevano tutto poco sul serio e si divertivano un mondo.

Una settimana da studenti

Nel mare delle cose da fare in quest’agosto guidaiolo (come peraltro tutti i miei agosto da alcuni anni a questa parte) mi sono concesso una pausa. Una meravigliosa pausa, accompagnando un piccolo gruppo di studenti dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo in un viaggio didattico a Roma. E ancora una volta ho pensato quanto sia illuminante e proficuo per me confrontarmi con chi ha vent’anni di meno. Banale quanto vero.

Il viaggio, a carattere territoriale, consisteva nel conoscere aspetti gastronomici, sociali e culturali della città sotto diversi punti di vista. Tante cose, anche se molte sono state lasciate fuori, a volte troppe per giovanissimi curiosi e affamati -in tutti sensi- ma anche digiuni di concetti base (che a torto ritenevo scontati). Perciò abbiamo dovuto districarci tra mercati e artigiani, street food, alta cucina, piatti semplici e tradizionali e altri più innovativi, cercando di crearci da soli un filo rosso. Un lavoro estenuante…. ;-)

La collaborazione di tanti amici è stata enorme. E vedo che -al di là del “blasone” dell’università- c’è una grande curiosità anche da parte di molti operatori nei confronti di giovani che adottano categorie nuove e punti di vista originali (e che applicheranno in futuro). E per i quali molte delle nostre chiavi di lettura sono superate. Quella della contrapposizione tra tradizione e innovazione (l’ho già detto) su tutte.

Abbiamo visitato i mercati Trionfale, Campo de’ Fiori (sempre più turistico e poco significativo, a tratti ridicolo) e il bel mercatino Circo Massimo (in via San Teodoro) organizzato da Coldiretti. Abbiamo conosciuto Gabriele Bonci (che ha semplicemente lasciato tutti di stucco) e Mirella Fiumanò. Pizza e gelato. Devo ringraziare per l’enorme collaborazione Antonello Colonna, che non solo ci ha accolto come i suoi ospiti migliori, ma ci ha raccontato i suoi progetti e il suo futuro dedicandoci quasi due giornate intere. E il cantiere del suo resort di Vallefredda (Labico) ci ha sbalordito. Vedere per credere. Un grazie anche a Federico De Cesare e a Leonardo Di Vincenzo che hanno cercato di fare il massimo per spiegare Roma ai giovani e che come sempre se la sono cavata egregiamente. A Fabio Rizzari e Marco Reitano che ci hanno spiegato il vino (anche se quel giorno un diluvio aveva allagato casa). A Leonardo del ristorante Da Cesare di via del Casaletto, che secondo me è diventata la migliore trattoria della città e a Flavio del Velavevodetto perché come racconta lui Roma non la racconta nessuno. Ad Heinz Beck che ci ha preparato un cacio e pepe con i gamberi al lime (nella foto) in cucina, regalando una inaspettata sorpresa che appaga la felicità di chi non ha mai visto un sistema come quello de La Pergola, che più vedo e conosco e più mi piace. A Gigi Nastri perché la sua cena è stata la più buona secondo gli studenti e ad Arcangelo che sul divano e con un supplì in mano ci ha raccontato il suo libro e il suo lavoro. Da ultimo Franca e gli amici dell’Albergo Sole che hanno ospitato in una casa più che in hotel.

M**BRUT

Me ne avevano parlato, ero proprio curioso. Di panini mi sono occupato, di panini ne ho mangiati e ne ho farciti. Perciò mi sembrava anche forse di aver aspettato troppo tempo dall’apertura di questa “agrihamburgeria” (nome agghiacciante) in Torino. E sono andato.

E dopo poco mi son chiesto…: ma davvero si pensa che bastano la carne “giusta” e il pane “giusto” per fare un locale diverso e alternativo al fast food all’americana? Come si può pensare che il solo selezionare le materie prime con criterio sia la panacea di tutti i mali? Non so dove siano andati altri ma io sono entrato in Corso Ferraris in un locale bruttino, dai colori e luci (al neon) che tanto mi ricordavano le due “collinette” americane, con musica assordante e martellante che neanche nei peggiori centri commerciali. Il cibo veniva confezionato da una piccola catena di montaggio che non faceva pensare esattamente la cucina della nonna mentre la passione del personale verso il proprio lavoro e la qualità nella relazione con il prossimo erano pari a quella di un bambino costretto forzatamente al catechismo.

Per finire: colori, spazi, convivialità, modalità di pulizia del tavolo sono esattamente uguali all’originale. Americano. Con la differenza che i panini in america sono spesso fatti meglio. Qui l’hamburger, asciutto e mal condito, mi è rimasto nello stomaco diverse ore. Tra l’altro il formaggio va scelto giusto e non basta scrivere i nomi in dialetto sulla lavagna per rendere tutto più bello. Anzi, a me fa quasi tanto presa per i fondelli. Ma che Brutt…

 

Quando Scabin ci si mette non ce n’è per nessuno…

Incredibile cena al Combal di Rivoli. Non in questi giorni, in cui Davide Scabin è impegnato in barca, fu a fine aprile, in un sabato sera dalle strane atmosfere. Non ci sono molti ristoranti in cui mi sorprendo e mi emoziono alla ventesima visita. Al Combal sì. E i nuovi piatti ancora una volta sono stati l’occasione per pensare, mangiando.

Riscrivo quello che ho già scritto in occasione di Identità a gennaio: “Davide Scabin, il più innovativo di tutti, definisce e ridefinisce i suoi modelli e di cucina e le sue ispirazioni ogni giorno. Provocatore, provocatorio e perfezionista riesce a dare nella sua cucina contenuti che vanno al di là del piatto. Ma partono sempre dalla centratura sul gusto. Sia quando gioca con forme e consistenze sia quando scolpisce la materia in cerca dell’assoluto.”

Nell’ordine: albese di merluzzo, nervetti e vongole, meravigliosi ravioli di scampi con midollo, la nuova versione del Fassone alla torinese (con erbe aromatiche) e quella del rognone (con le lumache). Foto di Bob Noto

 

Ci penso e ci ripenso e sono lì, stampati nella mente

Una delle cose più belle e probabilmente più significative che possono accadere dopo l’incontro con una grande tavola è quello che impropriamente definisco il ritorno sulla memoria. Ci sono piatti e vini, contenuti ed emozioni, che per una ragione o per un’altra si fissano nella testa. Si sovrappongono, ritornano, chiariscono idee, fanno pensare. Quando mi succede penso sempre di avere avuto la fortuna di raggiungere un punto alto.

Mi è accaduto nei giorni scorsi con due piatti di primavera. Il caglio di Parmigiano con panna di affioramento, piselli, fave e asparagi (oltre a pepe e maggiorana e tanto altro) del Leader Maximo Buttura Bottura. E la royale di carciofi dei fratelli Roca. E non è un caso che sia accaduto con due piatti sostanzialmente a base di verdure.

Un bastimento non del tutto carico

Se a vivi a Torino un posto come il Bastimento non puoi che vederlo come un miraggio. Nel pieno di un inverno grigio entrare in un locale informale e colorato, a metà tra il bancone alla spagnola e la trattoria di mare è come illudersi di vedere il sole. L’ambiente è proprio bello, si sta bene, sono tutti simpatici (anche se il sedersi al tavolo per prendere la comanda è discutibile) la proposta originale e colorata anch’essa.

Si mangia pesce, infatti, ma scelto con cura e senza inseguire mode: niente tonno, poche tartare, uso di pesce azzurro e specie sostenibili e poco valorizzate. I piatti sono più sullo stile di una raffinata trattoria, come si diceva, che non quelli del ristopesce tutto trendy e attento alla linea.

Però se i piatti sono recitati a voce (sul menu c’è solo scritto il prezzo, che varia non poco in una forbice dichiarata, come ad esempio: secondi piatti da 18euro a 25euro) alla fine non ci si accorge che il conto è salato. E guarda caso tre su quattro dei piatti scelti erano tra quelli più cari. Quindi si possono spendere anche 65euro più il vino… E non tutti i piatti sono ben fatti. Nel mio caso ottime le polpette di cernia e la zuppa di gallinella, meno interessanti i bucatini alla granseola, un po’ pasticciati e in cui il gusto della granseola alla fine si perdeva.

Insomma non è un posto perfetto, soprattutto perché basterebbe poco per correggere il tiro. E perché quest’idea di ristorazione di mare è bella e originale.

Il Bastimento

via Della Rocca 10/c

tel. 011 19708154

prezzo medio: 60euro (vini esclusi)

Non ci tornerei

E’ un locale a suo modo famoso. Me ne avevano parlato in tanti, in particolar modo un amico fidato. E quella sera dovevo vedermi a metà strada con amici di Milano: la Vineria Derthona era perfetta. I colli tortonesi -merito anche di Walter Massa– mi sono entrati nel cuore e quindi a Tortona ci andavo volentieri. E invece è andata male.

Un piatto di tagliatelle pallide che in realtà sembravano una chitarrina e che erano decisamente poco cotte. E soprattutto un piatto di frattaglie in cui il rognone non aveva un buon odore. Ma proprio per niente. E con tutta la buona volontà del caso non siamo riusciti a finirlo. Cosa è cambiato? Non so. Quello che però mi è abbastanza evidente è che questo modello di “vineria con cucina”, dall’accoglienza calorosa e dagli arredi confortanti e colorati (dominati dalle bottiglie) appartiene a un’epoca che fu. Quella in cui -probabilmente- la qualità complessiva del locale e i tanti “plus” contavano più della cucina in senso stretto. Solo che qui in Piemonte la ristorazione è andata avanti anni luce, anche nelle sue espressioni più semplici. E un piatto cotto male o maleodorante non lo si riesce a tollerare. Peccato, perché la Vineria è un posto davvero accogliente e a buon mercato: si mangia e si beve bene con 30euro.

About Venice

A Venezia è (e resta) difficile mangiare bene. Trovare ristoranti degni e non solo folclore spennaturisti. Detto questo è altrettanto vero che esistono pochi luoghi al mondo in cui il cibo e la tavola rappresentano un’esperienza così intensa e singolare. Anzi, mi viene da dire che un viaggio a Venezia non sia tale se non si completa con una buona sosta con le zampe sotto il tavolo.

Mi è capitato in passato, mi è capitato di nuovo, anche grazie alla scoperta di veneziani DOC come Enrico Fantasia, Gianni Bonaccorsi, Luca Di Vita. Che se ti portano per mano ti fanno scoprire un’altra città. E, a tavola, ti aiutano a comprendere più di una cosa. Insomma una cena alle Testiere o al Ridotto da’ soddisfazione quanto una visita al Museo del Settecento Veneziano.

Nel mio ultimo giro ho trovato dei tenerissimi calamaretti con castraure di Bruno Cavagnin, oltre all’ottimo baccalà mantecato e ai ravioli di zucca al nero di seppia. Al Ridotto invece un la minestra di pasta mista con crostacei e pesci di scoglio di gennariana memoria passava dal Tirreno all’Adriatico in una versione, con tubetti e canoce, molto ben studiata da Gianni. Quando si dice un’ispirazione rielaborata con criterio, visto che il sapore di questo piatto è inconfondibilmente legato al pesce di laguna, e quindi diverso da quello di Vico Equense.

Non male anche la fritturina del ristorante Wildner dell’omonima Pensione. Qui il giovane Luca, comincia a far pesare la sua versione, migliorando qualità e contenuti, in una bellissima veranda sulla Riva degli Schiavoni. Molte cose sono ancora da mettere a punto ma la partenza è buona e i prezzi anche.

Last but not least, per me, c’è sempre il Molino Stucky. Perché è bello e perché prendere ogni giorno un motoscafo dalla Giudecca per muoversi aggiunge, un po’ come il baccalà, una buona dose di gusto. Al Molino c’è un bar imperdibile, quello che mi piace pensare come l’Harry’s del terzo millennio :-) con vista sulla laguna. E al Molino hanno tolto il tonno dai menu, perché non sostenibile. Che mi sembra un buon segnale, soprattutto se fatto da un albergo di catena di questo tipo.