Enrico Crippa e Pierre Gagnaire

Non è nata una partnership. È solo una roba che mi ronza per la testa. Lo avevo detto che forse avrei scritto della mia cena da Gagnaire. Anche perché da Gagnaire dodici anni fa o forse più io ho fatto una delle migliori cinque cene della mia vita. Stavolta no.
E siccome mi è capitato invece di andare da Crippa più volte in poche settimane (ma che bello tornare e ritornare nello stesso luogo e scoprirlo meglio…n.d.r.) il confronto nasce spontaneo. Già perché da Crippa si mangia in modo divino, sublime, si provano sensazioni e si raggiungono equilibri mai visti prima. Si gioca con una cucina sensibile e colta, evocativa di forme e colori che ci circondano. Esattamente come a me sembrava la cucina di Gagnaire qualche anno fa.

Ma le cose son cambiate. O forse non lo sono abbastanza. Già, perché in rue Balzac il rito è sempre lo stesso. I piatti fatti di mille “sottopiattini” che costituiscono un percorso senza nè capo nè coda. Il servizio professionale ma legato a schemi e rigori superati. E apparentemente poco allineato con lo stile di cucina. Tutto corretto ma manca un po’ d’anima e di colore. Forse proprio quelli di Pierre, in tutt’altre faccende affaccendato. È un po’ come la parodia del ristorante che fu. Ma i prezzi sono sempre gli stessi: 114euro per il piatto più economico, 165 per il più caro, 49 per i dolci. 265 il degustazione.

Ho come un’intuizione: i ristoranti così avranno vita breve…

Italia all’avanguardia del gusto. Il mio personalissimo asse della cucina italiana contemporanea

Ci pensavo e ci ripensavo. Mentre tutti scrivevano (e polemizzavano) di esordi, novità e nuove modalità di comunicazione legata al concetto di guida. Io stavo cercando di fare mente locale su questo anno (nuovo) in cui ho girato e conosciuto locali e ristoranti con occhi diversi.

Sono giunto alla conclusione che sotto il profilo del gusto, e dei gusti nuovi, il nostro è un paese all’avanguardia. Ci sono in giro -altrove- avanguardie gastronomiche varie, spesso legate a concetti come tecnica e tecnologia, contrapposizioni come quella tecnica/materia prima o tradizione/innovazione. E invece, in un certo senso, da noi esiste già una terza via, che ha autorevoli rappresentanti.

Poi mi è arrivata la telefonata di un’amica che deve fare un pezzo (ho uno storico ruolo da suggeritore, n.d.r.) e mi sono illuminato: ecco l’asse della nuova cucina italiana (nella foto). Con un peso politico non indifferente del Sud nei confronti del Nord (la rivincita).

E se penso a grandi (di quelli di cui i blog hanno parlato tante volte già in passato) ma però che influenzano non poco gli altri, e soprattutto lo stanno facendo adesso, più di altri, ho le idee chiare. Su quello che qualcuno chiama capacità di influenza, e che dunque sa lasciare il segno.

E quindi il nuovo asse della cucina italiana non è la sottolineatura di quelli che per me sono i migliori. Né come chef né tantomeno come ristoranti. Ma un pensiero su quello che possa essere il quadro di domani. Anche per questo tengo fuori nomi importanti mentre allo stesso tempo metto dentro qualcuno di importante. E’ tutto molto arbitrario e poco confrontabile. Ma ha un suo senso nell’ottica di un percorso ideale in una cucina italiana che sta facendo avanguardia. Molto più di altre.

L’asse parte da Alba, prosegue su Siena, Rivisondoli, Vico Equense e termina a Licata. Con due piccole deviazioni a Torriana e San Salvo. Sono convinto che percorrerlo tutto, per me, sia stato illuminante.

L’elemento sonoro

Leggo (e apprezzo) un interessante post di Fabio Rizzari in cui tra le altre cose si parla dell’elemento sonoro che può essere presente presente in un vino, come brillantemente descritto da Michel Bettane con la definizione dell’eventuale presenza della “vibrazione di uno strumento musicale”. Quello che molti di noi traducono spesso con il concetto di emozione, mi dico.

Non riesco a non saltare immediatamente con la mente ad alcune vibrazioni percepite negli ultimi mesi e provo a buttar giù in quali occasioni e con quali piatti (lascio il vino a chi ne sa più di me, n.d.r.):

Il merluzzo e siulot di Crippa

La parmigiana come una zuppa thai (che non credo si chiami così) di Massimo Bottura

Il Japo burger di Dos Palillos

I ravioli potagères di Alain Passard

La cote de boeuf de L’Ami Jean

Il dentice al limone di Gigi Nastri

I bonbon all’arrabbiata con crema di asparagi selvatici di Riccardo Di Giacinto

I capellini freddi con crudo di pesce e salsa di frutti di mare di Max Alajmo

Il gelato di fiordilatte di Ugo Alciati

Le patate fritte più buone della mia vita, quelle preparate da Marina Maestro, con la paglierina

Giusto per buttare giù qualche appunto. Poi ci penso ancora.

Meraviglia Crippa!

Ricordo ancora, come fosse ieri, quando con Bob dicevamo: “No, Enrico Crippa non è uno dei migliori cuochi italiani. E’ uno dei grandissimi d’Europa”. Erano circa quattro anni fa, non eravamo in tanti, allora. Adesso decisamente qualcuno in più. Anche se -a quanto pare- le Langhe vinicole non varcano questa soglia (al massimo quella della Piola al piano terra) così come nessuno dal Comune di Alba sembra abbia mai chiamato per felicitare i riconoscimenti della critica arrivati negli ultimi tempi. Tant’è.

A tutti costoro dico che la mia cena di ieri sera è stata semplicemente sublime. Una delle migliori mai fatte. Un Crippa in gran forma, sereno, leggero, lucidissimo. Come i suoi piatti, capaci di toccare punte altissime di gusto (e di sensibilità), grazie alla linearità di una tecnica (che non fa uso di alchimie particolari) che si muove ormai tra territorio e universo con l’agilità di un felino su un tetto.

Tra le tante cose che porterò nella memoria gustativa nei prossimi dieci anni c’è il “Merluzzo e Siulot”. Un merluzzo salato dallo chef (solo per venti minuti) accompagnato da cipollotti cotti sulla cenere e riduzione di cipollotto in carpione. Su tutto capperi, pinoli, pomodoro candito e olio nero, realizzato con la parte bruciata del cipollotto e il carbone.

Poco prima del merluzzo dolci “Scampi al naturale con crema vergine all’olio d’oliva, liquirizia e carciofi” che il cui sapore era armonia pura. Mai sentito un crostaceo così ben incastonato nel suo piatto. Quasi come una pietra su un anello, con la crema a far da collante. (foto Enrico Peroli. Non Alberto, Enrico.)

Buonissimi anche i dolci (che nascono in un settore pasticceria che lavora come un orologio svizzero), “l’omaggio a Michele Ferrero” su tutti. Un gioco sulle sue “merendine” molto più interessante di decine di giochi cioccolatosi visti e assaggiati in giro.

A Enrico Crippa un inchino per lo stile, la sensibilità, le emozioni che riesce a trasmettere. A quelli che vivono qui e ancora non ci sono stati un sincero invito a farsi furbi.

A Bruno e alla famiglia Ceretto il mio personale grazie per averci creduto. E per aver sostenuto un’operazione onerosa economicamente ma che ha regalato a questo territorio (e all’Italia intera) uno dei talenti migliori in circolazione. E forse non solo gastronomicamente parlando. Un talento che adesso ha un palcoscenico di primissimo livello in cui muoversi serenamente. Non è sempre facile tenere duro, soprattutto in periodi di crisi, e qui la tenacia, il coraggio e la capacità sono stati il filo conduttore di un impegno di anni che -visto con gli occhi di oggi- appare come l’intuizione capace di uomini orgogliosi, lungimiranti e preparati.