Bistronomia sto cavolo…

Si parla e si riparla di modelli vecchi e nuovi. Ma poi quando ci si cala nella realtà le chiacchiere stanno a zero. E reduce da due prove in un mese di quelli che dovrebbero essere i bistrot dei due più grandi (o quasi) cuochi di Francia…beh di domande ne ho parecchie. La prima è: ci tornerei? E la risposta è: no. La seconda è: perché in Italia non ci riusciamo? E ripensandoci mi dico “meno male”.

Io ho una grande stima per Ducasse, che ho avuto modo di conoscere e con cui ho scambiato pensieri in più occasioni. Così come -anche se non mi è altrettanto simpatico visto che se la tira come e più di Carlo d’Inghilterra- stimo e seguo Joel Robuchon da anni. Grande divulgatore. Ebbene, con rispetto parlando, ma a me l’Atelier di Londra e il Benoit di Parigi mi sono sembrate due discrete prese per il culo. Intanto per il servizio e l’accoglienza (fintamente perfetti ma in realtà pieni di imprecisioni e totalmente privi di personalità), poi per il prezzo (120euro da Robuchon e quasi 100 da Ducasse) e infine per qualche piccola grande imprecisione di cucina (temperature di servizio, piatti classici decaduti, assenza di proposte innovative, quanto meno al passo con i tempi). E mi dico che se questa è la bistronomie beh allora stiamo freschi. Sono locali che vanno di moda ma passeranno anche loro. Come tanti grandi tre stelle francesi che in questi giorni -visti da vicino- piangono miseria.

La melanzana e l’ostrica

Ci sono cose (poche) di cui vado veramente orgoglioso. Una di queste è stata la scelta di piazzare al primo posto della guida che ho diretto la cucina di Gennaro Esposito. Nel 2008. Una cosa che rifarei domattina e che, per quanto forte, (ma solo nell’ambito di una critica classica che fatica ad osare) è stata la scelta di sottolineare quelle che erano e sono le linee guida di una nuova cucina italiana. Questa sì, mediterranea più di chiunque altra. Una cucina appartentemente semplice, dai caratteri fortemente identificabili e sottolineata da una inconfondibile golosità. La cucina di quel Gennaro che conobbi per caso e che rincontrai solo qualche mese dopo, il giorno che, prendendo un caffé con Alain Ducasse, mi sentii dire: “quello è semplicemente il miglior cuoco d’Italia”.

L’ultima creazione di Esposito appartiene all’ultima fase della sua linea, una fase sicuramente più evoluta, a tratti tecnica, frutto di un periodo di pensieri e pensamenti. La fase -peraltro- in cui La Torre del Saracino nella sua nuova veste ha cominciato a girare davvero bene, dopo un periodo di rodaggio dato dalle tante novità. Una fase diversa da quella del risotto cuore di bue, limone, calamaretti e provola ma anche da quella della minestra di pasta mista con crostacei e piccoli pesci di scoglio. E’ la fase della melanzana e dell’ostrica. Un piatto che ancora una volta mi ha stupito e mi ha sedotto, per la capacità di trasmettere in modo nettissimo gli elementi primari degli ingredienti, quasi che il cuoco riuscisse a renderli più forti che in natura. E nel caso di questo curioso matrimonio anche di rendere l’incontro e lo scambio di due elementi così diversi una cosa davvero straordinaria. Non dico molto di più, consiglio solo di provarla.

Lo sapete che vi dico..?

Dopo uno sguardo al congresso di Madrid, una beccaccia sui Pirenei, una gita in Francia, dopo aver ascoltato tanti colleghi stranieri, una lunga chiacchierata con un amico inglese e i racconti di tanti chef…lo sapete che vi dico? Che non siamo mica messi troppo male.

E’ un po’ la storia del punto di vista, del bicchiere mezzo vuoto e mezzo pieno, ma il comparto enogastronomico italiano osservato in un contesto europeo ne esce piuttosto bene. Tra un Adrià che chiuderà per riflettere, un Ducasse che gira il mondo pagato dal suo governo per promuovere la cucina francese come l’unica possibile (in attesa che il cadavere spagnolo passi loro davanti, o almeno così dicono i maligni) e soprattutto che racconta storie sui prodotti da salvare e sul tonno rosso che sentite oggi qui in Piemonte fanno un po’ sorridere…

I congressi e dibattiti mondiali hanno virato su temi a noi molto vicini, il prodotto e una certa filosofia della cucina italiana sono spesso al centro di interventi e cuochi di ogni dove anche quando non siamo presenti. E se è vero che la crisi c’è, è altrettanto vero che i nostri ristoranti stanno tenendo, soprattutto dove c’è qualità autentica e poca fuffa.

Probabilmente l’unico punto su cui si può (e si deve) qui da noi ragionare ancora un po’ è la formula: non esiste solo un modo di servire e proporre buona cucina e grandi prodotti. E i prossimi anni ci riserveranno sorprese in questo senso. Intanto aspettiamo l’apertura del nuovo ristorante degli Alajmo con grande curiosità. Mancano pochi giorni. Chissà che non ci riservi davvero qualche sorpresa interessante.