In queste ore si è aperto un dibattito sui risultati delle guide e in particolare su un confronto tutto romano tra Glass e Ceppo per il quale il pari merito sarebbe un’onta da lavare con il sangue, un paragone improbabile un po’ come quello tra il vino di Dettori e uno Shiraz Grenache di Yellow Tail.
Dissento.
E non già perché non sia un sostenitore del Glass. Lo sono, penso che sia una delle più belle novità negli ultimi anni della ristorazione capitolina (ed è anche uno dei locali che più mi mancano da quando vivo a 700km di distanza). Così come credo che la cucina della Bowerman sia tecnicamente e golosamente superiore a quella rassicurante del locale pariolino.
Ma descrivere il Ceppo solo per la sua immagine superficiale (quella della foto) è un errore. Il locale di Caterina Marchetti (e prima ancora di sua madre) è un gioiellino pieno di virtù, da non giudicare solo per la fauna di cariatidi provenienti dalla noiosa borghesia romana che di quando in quando lo frequentano.
Al Ceppo è uno dei primi locali ad avere ragionato di vini naturali, ad esempio. Ed è una delle carte dei vini più belle e intelligenti che io abbia mai visto. E’ un locale dalle mille facce, che vanno da una carne alla griglia fino al piatto creativo, che magari c’è solo quel giorno e che non torna più, perché è frutto di un guizzo della cucina. E’ uno dei ristoranti più affidabili di Roma, dove si sta bene e lo standard è alto e si mantiene alto. Dove quando ci sono i funghi e i tartufi (insieme a parecchi altri prodotti di stagione) vengono selezionati e serviti con cura (a Roma non capita spesso). Dove i clienti vengono sostanzialmente tutti trattati nello stesso modo. Uno di quei posti che consiglio frequentemente e in cui ho sempre voglia di tornare. E se proprio devo dirla tutta Caterina è una ristoratrice così intelligente e illuminata che se lavorassi in un quotidiano in questi giorni correrei ad intervistarla.