Presentiamo le Birre

Un lungo lavoro, fatto di visite ai birrifici, assaggi regionali e assaggi alla cieca. Un nuovo modo di raccontare produttori e prodotti e di attribuire i riconoscimenti. E ora è venuto il momento di presentare tutto questo al pubblico. L’occasione è a Roma, domenica 10 giugno, dalle 19,00 alle 24,00. Subito dopo l’esordio dell’Italia agli Europei, il modo migliore (speriamo) di festeggiare è venire a conoscere la nuova edizione della Guida alle Birre d’Italia 2013 e assaggiare le Birre Slow in degustazione. Il luogo è il Vinoforum, importante festival dedicato al mondo del ino che anche quest’anno ci ospita. L’ingresso costa 28 € e comprende, oltre alla degustazione, il biglietto al Vinoforum, un bicchiere e una copia della guida.

Eugenio Signoroni

Cultura dell’accoglienza

Mi frullano sempre in testa i tre concetti -piuttosto chiari- che sono alla base della guida Osterie d’Italia di Slow Food: prezzo, idea di cucina riferibile a tradizione e contesto, cultura dell’accoglienza. Anche perché, di fatto, dietro a questo concetto c’è parte del successo dell’idea di trattoria nostrana. Mi frullano anche perché la qualità della giusta accoglienza è fatta fondamentalmente come un abito: su misura. In questo senso la capacità dell’oste -che si tratti di locali semplici o tristellati- è quella di capire chi ha davanti.

Cosa rara.

In effetti mi capita più frequentemente di trovare locali in cui il commensale deve in qualche modo adattarsi alla proposta. Quasi che ci sia un format a cui aderire, un rito già programmato. La spiegazione continua di ingredienti, dettagli delle ricette, senso profondo delle scelte (la rava e la fava, insomma) così come il desiderio del ristoratore che chi è seduto al tavolo si sforzi di capire tutto questo…hanno raggiunto ormai livelli deliranti. Quello che accadeva con i sommelier saccenti oggi capita anche solo con il cestino del pane o con i menu lunghi sette pagine (a portata).

Ora mi domando: ma è così difficile chiedersi di cosa ha voglia chi è seduto a tavola prima di cominciare il rito? Io quando invito qualcuno a cena a casa mia è la prima domanda che mi pongo…

Delusione

Qualcuno penserà che sono un ingenuo per credere ancora nell’immutabile identità di indirizzi storici. Altri invece che sbaglio, perché la Trattoria Cadorna è un punto di riferimento del sallustiano, e di Roma.

Io comunque ieri ho avuto un’esperienza diciamo non memorabile, di quelle che ti intristiscono un po’, pensando ai fasti passati di questa bella trattoria romana. In carta le pappardelle alla trippa incuriosiscono (anche se qualche dubbio veniva già solo sull’idea) ma sono poi grossolane, con tranci di trippa troppo grandi e difficili da gestire con la forchetta, praticamente impossibili con la pasta. Sugo molto salato e un po’ acido. La coda alla vaccinara dalla cottura forse troppo breve aveva invece una consistenza lontana dalla morbidezza attesa.

Consolarsi con una semplice bruschetta? Con zucchini, peperoni, pomodori e melanzane. Dal sapore primaverile…

Trattora Cadorna

via Raffaele Cadorna 12

Roma

prezzo: sui 40euro

Le guide e le App: il caso Osterie

Le guide, la carta vs. il web, il 2.0. Dibattito apertissimo e ricco di spunti. Tra questi, da editore, devo dire che il fronte applicazioni per smartphone -e più in particolare l’Apple Store- sono di fatto il primo approdo concretamente redditizio per le nuove guide. Inventate di fatto per essere un modo concreto per bypassare il problema della reticenza agli acquisti su internet i piccoli acquisti “oneclick” inventati dalla casa di Cupertino. Di fatto con l’Iphone gli acquisti si fanno, eccome.

Detto questo resta il problema del rapporto costi-ricavi. Realizzare un’applicazione ben fatta oggi come oggi costa e il prezzo di vendita (detratta la quota che rimane ad Apple) non ripaga sempre tanti sforzi. Perlomeno perché i numeri, spesso ancorati a qualche decina o poche centinaia di download, non sono sempre così lusinghieri. Non sempre.

Già perché Osterie d’Italia 2012, realizzata da Slow Food Editore in partnership con Ovolab, per me è un piccolo caso. Sicuramente gli sforzi per realizzarla al meglio li abbiamo fatti. Ma migliaia di download in due mesi, essere a lungo “App della settimana”, rimanere nella classifica delle “Top redditizie” non ce lo aspettavamo davvero. Evviva!

le nuove Osterie d’Italia

Avevamo in mano un lavoro straordinario e l’impresa era ardua: crescere e migliorarsi senza stravolgere nulla del patrimonio costruito negli anni. La guida Osterie d’Italia 2012 volevamo fosse una guida nuova e al tempo stesso -si perdoni la ripetizione- sempre la stessa guida. La principale novità è forse che abbiamo adeguato il nostro sguardo. Per farlo il primo intervento è stato rinnovare la guida graficamente dentro e fuori: abbiamo da un lato rafforzato l’identità interna – mantenendo il colore di copertina che da qualche anno contraddistingue Osterie d’Italia – ed esterna dando anche a Osterie l’aspetto delle altre guide slow inaugurato lo scorso anno con Slow Wine. Dall’altro abbiamo modificato la grafica delle schede con nuovi simboli e nuovi colori, un nuovo carattere, e una maggior pulizia; quella delle cartine che abbiamo reso più precise; quella degli inserti che abbiamo distinto con maggior forza dalle schede di osterie, rendendoli più leggeri e dando più valore alle loro introduzioni che sono fondamentali per raccontare realtà spesso poco conosciute.

Dal punto di vista dei contenuti abbiamo invece dato più spazio al racconto delle materie prime. Non c’è dubbio che in quanto slow è un passaggio fondamentale a cui dovevamo arrivare. La qualità dei piatti passa necessariamente attraverso la qualità degli ingredienti. Essere più attenti, rigorosi, chiari nel ragionamento è il nostro sforzo più grande. Che è cominciato quest’anno e che continuerà. Maggiore chiarezza anche per i prezzi (indicati anche per alcuni singoli piatti) e per le motivazioni che ci spingono ad attribuire le “chiocciole”.

Abbiamo invece infine introdotto una nuova sezione “oltre alle osterie” dove raccontiamo i locali che nel prezzo e nell’ambiente vanno oltre i nostri parametri, ma che non lo fanno nella cucina e nel calore dell’accoglienza che ci piacciono al punto da averci fatto venire la voglia di raccontarli. Sono pochi, una manciata in tutt’Italia, riconoscibili anche questi da grafica nuova, diversa da quella delle osterie.

L’ultima novità, forse la più importante, è stata l’uscita dell’applicazione per Iphone, disponibile su AppStore. Non è la guida in un’App ma è un’App che usa le informazioni sulla guida. L’interfaccia è stata pensata ex-novo, cercando di immedesimarsi nell’uso che si fa dello smartphone. Le prime immagini le vedete qui di seguito, adesso attendiamo i vostri commenti.

Marco Bolasco ed Eugenio Signoroni

L’altro mondo

Dopo due anni di lavoro, di cui uno particolarmente dedicato alla guida Osterie d’Italia posso dirlo: esiste un altro mondo. Osservazione ovvia, certo. Ma quello che mi ha colpito -è arrivato il momento dell’outing- è che questo mondo lo conoscevo troppo poco. Il mondo della cucina tradizionale, della trattoria, dell’osteria, del nostro passato, quello che pensiamo di conoscere. Tutti, come quando ci sentiamo allenatori della nazionale dopo la partita. Il mondo di una ristorazione fatta di sistemi e valori diversi, di microeconomie, di rapporto con il territorio, di ripensamento in chiave nuova di quella che è l’identità italiana. Un mondo che –mi permetto di dire– conoscono bene davvero in pochi.

Ho passato due anni ad ascoltare, a leggere, ad osservare e assaggiare. Per scoprire quello che in gran parte pensavo non esistesse più. O fosse diverso. E invece c’è, in lungo e in largo, ed è fatto di scelte fuori dagli schemi, di rapporto stretto con le cose concrete (e non solo di ispirazioni o ricordi rivisitati), di parametri economici che hanno dell’incredibile. Fatti anche di piatti a 3 o 4euro (magari verdure, ma indimenticabili) o di interi menu a 25. E spesso sono anche sistemi che stanno perfettamente in piedi. La cucina delle trattorie c’è anche se spesso non è raccontata dai media. Meno che mai da quelli nuovi. Che più facilmente si innamorano di stelle e luci seguendo la scuola dei mezzi di comunicazione più vecchi e che non riescono a dialogare con un mondo poco informatizzato. Molto poco. Questo della tradizione è un mondo evocato spessissimo ma quasi mai analizzato davvero e raccontato.

Eppure ne vale la pena. Perché c’è molto da imparare, per un paese come il nostro. L’osteria, la trattoria -le definizioni possono essere tante- sta riaccendendo passioni e voglia di fare. In alcuni casi sta riportando giovani al lavoro e nei luoghi di origine esattamente come è capitato per il vino da un paio di decenni a questa parte. E sta cambiando pelle. Oggi il concetto di tradizione contrapposto a quello di innovazione o modernità è assolutamente superato. Il recupero del passato si intreccia con il sacrosanto desiderio di crescere ed evolvere e spesso in questi modelli di ristorazione il territorio diventa più importante della tradizione pura. E i prodotti o i modi di cucinare diventano linguaggi e mezzi più comprensibili per raccontare storie nuove. Non a caso proprio il territorio è diventato anche parametro e ispirazione per i grandi cuochi.

Vale insomma la pena di raccontarlo questo mondo. Che è tanto diverso da quello, qualche volta troppo chiuso e autoreferenziale, della cosiddetta ristorazione alta (siamo pur sempre il paese delle sciocche contrapposizioni di campanile). Quest’anno proviamo a farlo con più attenzione con la guida Osterie 2012 che sta prendendo corpo. Che è sempre la stessa ma che è anche nuova. Che cerca di raccontare l’identità italiana della cucina com’era ma anche come sta diventando. Sempre rispettando parametri che restano fondamentali. Come quello per cui il conto finale non deve essere troppo salato. Ma introducendo punti di vista nuovi e storie giovani. Che cominciano a farsi sentire.

E poi magari mettiamo grandi chef e osti ad uno stesso tavolo per provare il dialogo. Ma questa è un’altra storia, prima finiamo il lavoro.

 

In bocca al lupo, Niko!

Ricordo perfettamente la prima volta che parlai con Niko Romito che, intervistato, raccontava la sua emozione ad aver potuto lavorare -cuoco alle prime armi com’era- in aiuto di Fulvio Pierangelini, una sera in Abruzzo. Sono certo che la modestia e lo stile di quel racconto sarebbero gli stessi, oggi, a due anni, due stelle e tanti passi di distanza. Perché Niko è anche questo, oltre che un grande chef-imprenditore: un uomo sensibile e onesto, caratterizzato da uno stile e da una modestia più unici che rari.

Niko da ieri sera è ripartito con una nuova avventura. Che tanto nuova non è visto che è sempre il suo Reale ed è sempre nel suo territorio. Ma è nuova perché il progetto Casadonna sarà un centro culturale a tutti gli effetti, aperto a contenuti e fondato sul concetto di scuola e di scambio. Un progetto che in quel territorio e con questi presupposti potrà e dovrà avere un ruolo e un impatto che vanno ben al di là di quello della già grande fama della cucina del Romito grande cuoco. Mi ricorda tanto le cose più belle che ho visto nascere già alcuni anni fa in Catalogna dove l’intraprendenza, la voglia di fare, le speranze e le idee davano vita a luoghi modernissimi che non erano solo ristoranti. Una modernità a sostegno del territorio e spesso utile anche allo studio e al recupero del passato. Come Slow Food ci saremo e con Niko, insieme a Nicola Perullo dell’Unisg e a Raffaele Cavallo, presidente di SFAbruzzo, abbiamo già cominciato a pensare come.

Siccome in queste ore in tanti (compresi molti media nazionali) stanno arrivando a Castel di Sangro ma io non posso schiodarmi dalla scrivania e non riesco ad esserci (solo per adesso, però) voglio fare gli auguri a Niko (che in questa foto è con Nicola Fossaceca e Cinzia Scaffidi). Ringraziandolo, a questo giro di boa, per le cose che mi ha trasmesso in questi anni. Ripeto: non è solo questione di cucina ma anche di stile. In questo Romito è una spanna sopra a molti altri forse proprio perché nel suo vivere sta sempre un passo indietro e un pensiero avanti.