Dopo due anni di lavoro, di cui uno particolarmente dedicato alla guida Osterie d’Italia posso dirlo: esiste un altro mondo. Osservazione ovvia, certo. Ma quello che mi ha colpito -è arrivato il momento dell’outing- è che questo mondo lo conoscevo troppo poco. Il mondo della cucina tradizionale, della trattoria, dell’osteria, del nostro passato, quello che pensiamo di conoscere. Tutti, come quando ci sentiamo allenatori della nazionale dopo la partita. Il mondo di una ristorazione fatta di sistemi e valori diversi, di microeconomie, di rapporto con il territorio, di ripensamento in chiave nuova di quella che è l’identità italiana. Un mondo che –mi permetto di dire– conoscono bene davvero in pochi.
Ho passato due anni ad ascoltare, a leggere, ad osservare e assaggiare. Per scoprire quello che in gran parte pensavo non esistesse più. O fosse diverso. E invece c’è, in lungo e in largo, ed è fatto di scelte fuori dagli schemi, di rapporto stretto con le cose concrete (e non solo di ispirazioni o ricordi rivisitati), di parametri economici che hanno dell’incredibile. Fatti anche di piatti a 3 o 4euro (magari verdure, ma indimenticabili) o di interi menu a 25. E spesso sono anche sistemi che stanno perfettamente in piedi. La cucina delle trattorie c’è anche se spesso non è raccontata dai media. Meno che mai da quelli nuovi. Che più facilmente si innamorano di stelle e luci seguendo la scuola dei mezzi di comunicazione più vecchi e che non riescono a dialogare con un mondo poco informatizzato. Molto poco. Questo della tradizione è un mondo evocato spessissimo ma quasi mai analizzato davvero e raccontato.
Eppure ne vale la pena. Perché c’è molto da imparare, per un paese come il nostro. L’osteria, la trattoria -le definizioni possono essere tante- sta riaccendendo passioni e voglia di fare. In alcuni casi sta riportando giovani al lavoro e nei luoghi di origine esattamente come è capitato per il vino da un paio di decenni a questa parte. E sta cambiando pelle. Oggi il concetto di tradizione contrapposto a quello di innovazione o modernità è assolutamente superato. Il recupero del passato si intreccia con il sacrosanto desiderio di crescere ed evolvere e spesso in questi modelli di ristorazione il territorio diventa più importante della tradizione pura. E i prodotti o i modi di cucinare diventano linguaggi e mezzi più comprensibili per raccontare storie nuove. Non a caso proprio il territorio è diventato anche parametro e ispirazione per i grandi cuochi.
Vale insomma la pena di raccontarlo questo mondo. Che è tanto diverso da quello, qualche volta troppo chiuso e autoreferenziale, della cosiddetta ristorazione alta (siamo pur sempre il paese delle sciocche contrapposizioni di campanile). Quest’anno proviamo a farlo con più attenzione con la guida Osterie 2012 che sta prendendo corpo. Che è sempre la stessa ma che è anche nuova. Che cerca di raccontare l’identità italiana della cucina com’era ma anche come sta diventando. Sempre rispettando parametri che restano fondamentali. Come quello per cui il conto finale non deve essere troppo salato. Ma introducendo punti di vista nuovi e storie giovani. Che cominciano a farsi sentire.
E poi magari mettiamo grandi chef e osti ad uno stesso tavolo per provare il dialogo. Ma questa è un’altra storia, prima finiamo il lavoro.