Premiate Trattorie Italiane

Lunedì sera, mentre altrove si ragionava di alta cucina contemporanea, a Isola Dovarese si presentava un altro interessante ragionamento: quello sulle trattorie di qualità. E nascevano le Premiate Trattorie Italiane, di cui avevo scritto qualche settimana fa qui.  La cosa è interessante perché di fatto la trattoria è e resta nell’immaginario collettivo -direi a livello mondiale- uno dei paradigmi di riferimento dell’idea di ristorazione all’italiana. Ma allo stesso tempo, anche se a qualcuno può sembrare strano, trattoria è un termine che definisce una tipologia di locale che non dà garanzie di qualità. Da contrapporre, appunto, al concetto di ristorante.

Questioni superate, direi, anche se tutt’altro che superato è il ragionamento sull’evoluzione del concetto di trattoria. Che non può restare solo il luogo di celebrazione della tradizione, magari legato a modelli di gestione familiare, e che in effetti sta diventando motore di una nuova imprenditoria giovane che ragiona di territorio con paradigmi nuovi. Necessariamente nuovi, per poter guardare avanti avendo sempre ben chiaro ciò che c’è dietro. In quest’ottica il fatto che alcuni “grandi” trattori della vecchia scuola (Amerigo, La Brinca, Caffé La Crepa, Locanda Devetak, Gambero Rosso) si siano riuniti per ragionare di qualità e mettere le basi per un buon futuro è un evento. A loro un grande in bocca al lupo e l’invito a essere rigorosi e non allargare troppo le maglie di un’associazione che deve mantenere alta l’asticella. Perché le trattorie italiane ne hanno bisogno. Detto questo, un po’ di Sud ci vuole…

Er cacio e pepe dei Quiriti

Riporto qui le poche righe scritte su Repubblica sabato scorso, perché Flavio De Maio è uno da seguire:

“I tempi cambiano e quello che era un ristorante messicano modaiolo si trasforma in una trattoria verace, tutta tradizione. Se questo avviene in una metropoli la cosa è ancora più singolare, perché fare cucina di territorio in un contesto urbano non è semplice. Se poi avviene a Roma, nel Rione Prati, dove da sempre il pubblico cerca “qualcosa di diverso” e un po’ di tendenza, allora è una vera e propria sfida. L’ ha raccolta Flavio De Maio, che ha deciso di raddoppiare il suo Velavevodetto di Testaccio con qualche tavolo sulla luminosa piazza dei Quiriti (al civico 5, tel. 0636000009), tra Cola di Rienzo e Piazza Mazzini. Pochi fronzoli (il locale non è stato riarredato) e tanta sostanza: materie prime scelte con cura, in alcuni casi autoprodotte nell’ azienda agricola di Cerveteri e piatti semplici: cucina romana schietta, fra polpette di bollito e cacio e pepe. E forse, proprio perché così semplicemente autentica, alla fine risulta quasi straordinaria. Lo stile della casa è tanto romano, qualche volta un po’ brusco ma saporito come il resto. E il conto è per tutte le tasche.”

(la bella foto, scattata nel locale di Testaccio, è di “Tavole Romane”)